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Kitty Genovese: l’effetto spettatore in psicologia sociale

Di Andrea Beatrice Galeazzi Lascia un commento

Kitty Genovese

Kitty Genovese

Chi è Kitty Genovese?

Catherine Susan “Kitty” Genovese era una ragazza americana di 29 anni, che viveva a Kew Gardens, alla periferia di New York.

Il motivo per cui viene ricordata,  sfortunatamente, è la sua morte, avvenuta fuori da casa sua nel 1964.

Cosa rende questo sfortunato evento così diverso dagli altri?

Le circostanze.

Kitty fu aggredita in strada da un uomo armato che la pugnalò per mezz’ora. Un tempo così prolungato poiché l’assassino, vedendo persone alle finestre che assistevano, a volte si interrompeva temendo l’arrivo della polizia, salvo poi riprendere e ritrarsi nuovamente in una danza mortale con molti testimoni. Nessuno dei quali però intervenne o chiamò aiuto.

Perché chi assistette non intervenne?

All’epoca dei fatti, la prima spiegazione fornita fu che il comportamento anomalo delle persone presenti era una conseguenza della perdita di valori tipica della società contemporanea e della sempre maggior tendenza all’individualismo e all’indifferenza verso le sofferenze altrui. Ma fu di fronte a questa insoddisfacente risposta che entrarono in gioco Bibb Latané e John Darley, psicologi sociali Statunitensi.

Cosa fecero i due psicologi?

I due studiosi partirono dal presupposto che fosse sbagliato tentare di capire una situazione di mancato soccorso indagando le caratteristiche dei singoli membri della folla. Sarebbe stato più utile focalizzarsi sulle relazioni creatisi in quel frangente tra gli “spettatori”.

Proposero un modello comprendente le fasi tra l’osservazione dell’avvenimento e l’azione:

  • Essere consapevoli e divenire spettatori dell’accaduto
  • Decidere se la situazione richiede aiuto
  • Assumersi la responsabilità dell’eventuale soccorso
  • Decidere come intervenire
  • Implementare la decisione

Fu sottolineato come la decisione di dover intervenire non sempre sia facile da prendere. Per esempio se si sente una donna urlare può non trattarsi di un furto o di un pericoloso criminale. Potrebbe essere il suo fidanzato che sta solo alzando la voce, e dunque aggredirlo per fermarlo risulterebbe fuori luogo.

Il punto cruciale dell’intera sequenza comportamentale e decisionale fu tuttavia ritrovato nel passaggio successivo, ossia l’assunzione di responsabilità.

Nel caso di Kitty, tra un’intera folla nessuno reputò che fosse il caso di intervenire; come mai neanche uno di loro reagì?

Per Latané e Darley la risposta si riscontrò nel cosiddetto “effetto spettatore”, ossia la situazione in cui gli individui non offrono alcun aiuto a una vittima in presenza di altre persone, con una relazione inversamente proporzionale tra il numero di persone e la possibilità di soccorso, tale per cui maggiore è il numero di spettatori, minore è la probabilità che qualcuno agisca.

Ciò avviene per l’ignoranza pluralistica infragruppo. Situazione in cui i membri pensano che gli altri abbiano più informazioni riguardo un avvenimento, e dunque si conformano al loro comportamento per sentirsi nel giusto, conformi alle norme del gruppo stesso.

Ovviamente non si tiene conto che se tutti si comportano così c’è il rischio di rimanere inermi copiandosi a vicenda.

Un esperimento di conferma

Per testare l’effetto spettatore e l’inibizione che esso comporta, Latané e Darley condussero un esperimento nel 1968 alla Columbia University. Usarono come soggetti gli studenti universitari.

I ragazzi erano invitati a sedersi in una stanza e a compilare un questionario sulle condizioni di vita nelle grandi metropoli. Ciò che veniva manipolato dagli psicologi era il numero di persone presenti nella sala, per cui il soggetto sperimentale poteva ritrovarsi solo o in compagnia di altri.

Dopo qualche minuto dall’inizio della compilazione, da una feritoia veniva fatto fuoriuscire un fumo non tossico, ma evidente.

Ciò che poterono notare immediatamente furono delle enormi differenze nei tempi di reazione, per quanto riguardava il semplice fatto di accorgersi della presenza del fumo.

I ragazzi lasciati soli nel 63% dei casi notarono il fumo dopo neanche 5 secondi, mentre di quelli in compagnia meno del 26% rispettò questa tempistica e gli altri, nonostante il tempo scorresse, non sembravano curarsene.

A seguito di queste misurazioni fu possibile notare sin da subito come la semplice presenza di altre persone fosse in grado di inibire la percezione dell’ambiente e di eventuali pericoli presenti in esso.

Dopo 6 minuti, in ogni caso, tutti i presenti venivano spostati in un’altra stanza e veniva loro chiesto esplicitamente se avessero visto o meno del fumo e tutti, anche coloro che non avevano dato segno di averlo notato, risposero affermativamente.

Le risposte

Allo stupore simulato dello sperimentatore, coloro che avevano segnalato il problema risposero in modo sensato, affermando per esempio di non aver agito immediatamente tentando di capire se si trattasse di un incendio, ma di aver reputato necessario intervenire in ogni caso.

Coloro che invece non avevano detto alcunché, in questo frangente dettero delle spiegazioni molto variegate. Da quelle semplicistiche come un presunto e innocuo danno al sistema di areazione a teorie più bizzarre, come aver considerato il fumo gas della verità per ottenere risultati veritieri o addirittura una simulazione dei gas di scarico delle metropoli trattate nei questionari come aiuto per l’immedesimazione.

Da tale esperimento fu dunque possibile riscontrare e confermare come la presenza di altre persone fosse realmente in grado di manipolare non solo le reazioni volontarie, bensì anche la percezione dell’esterno e dei fatti; i singoli avevano rilevato il pericolo ed erano intervenuti senza alcun problema.

Gli altri erano stati frenati dalle altre persone e piuttosto che intervenire, a volte guardavano i presenti per scorgere eventuali reazioni.

La mancata presenza di una manifestazione, da parte del resto del gruppo, di una consapevolezza della presenza del fumo o della pericolosità era riuscita a congelare i soggetti sperimentali dall’agire, con il pensiero che “ se nessuno fa nulla, allora non è realmente un problema”.

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Riferimenti e fonti

Brown, R. “Psicologia sociale dei gruppi”, Il Mulino, 2000.

Hogg, M.A. e Vaughan, G.M. “Psicologia sociale”, Pearson,  2016.

Palmonari, A. e Cavazza, N. “Ricerche e protagonisti della psicologia sociale”, Il Mulino, 2003.

Sacchi, S. e Brambilla, M. “Psicologia della moralità”, Carocci editore, 2014.

Biography.com Editors “Kitty Genovese Biography”, per approfondire qui .

Lassam, Nina “The brutal murder that started 9-1-1”, The Lineup, per approfondire qui .

Santarsiero, Cecilia “dinamiche di gruppo esperimento di Asch + Esperimento di Latanè e Darley”, Youtube, per approfondire qui .

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Info Andrea Beatrice Galeazzi

Andrea Beatrice Galeazzi, ventun anni, studentessa triennale in Scienze e Tecniche Psicologiche presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca.
Appassionata lettrice e velista, con poliedrici interessi nel campo della psicologia, con focus soprattutto in campo sociale, comunicativo e lavorativo, con la speranza di diventare ricercatrice ed insegnante universitaria.

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