La Teoria dell’identità sociale spiegata con un classico esperimento di psicologia sociale: basta un attimo perché la gente abbia bisogno di organizzarsi in gruppi e iniziare a discriminare gli altri.
Henri Tajfel ha fornito alla psicologia sociale un grande contributo: la teoria dell’identità sociale . L’identità sociale è come una persona si relaziona e si sente in base all’appartenenza al gruppo o nel contesto della collettività.
Il comportamento delle persone nei gruppi è affascinante ma allo stesso tempo anche parecchio inquietante. Quando singoli umani si ritrovano insieme ad altri, formando dei gruppi, incominciano ad avere strani atteggiamenti: provano timore nella disapprovazione da parte del gruppo; imitano comportamenti e giudizi dei gruppi a cui appartengono; vengono stregati dal conformismo proprio come pecore di un gregge, si seguono leader, nascono ostilità e conflitti tra diversi gruppi come nell’ Esperimento Robbers Cave.
Identità Sociale e Influenza dei Gruppi
Se pensiamo ai tipi di gruppi a cui si appartiene, ci rendiamo subito conto di quanto questi siano differenti. Alcuni gruppi assomigliano a unità militari; altri sono fatti di amici che si conoscono da quand’erano piccoli. Gruppi affiatati in cui ogni membro protegge l’altro. Non ci dobbiamo sorprendere se le persone in questi gruppi, cambiano radicalmente il loro comportamento; le persone preferiscono i componenti del proprio gruppo rispetto agli altri, in molti modi.
Esistono poi anche gruppi che si possono definire più slegati, più eterogenei. Ne sono un esempio i tifosi delle squadre di calcio, i colleghi di lavoro che si ritrovano a lavorare insieme ad un progetto per qualche mese o addirittura gruppi di persone che in una galleria d’arte apprezzano lo stesso dipinto.
Sembra quasi impossibile che possa avvenire la nascita di un gruppo in poco tempo; che lasciando insieme delle persone per 30 secondi a guardare un dipinto, senza che vi sia un contatto diretto tra loro, faccia a faccia, creino gruppi di appartenenza. Eppure, udite udite, è proprio così!
Lo psicologo Henri Tajfel e colleghi, si chiesero proprio questo: come è possibile che le persone, senza nemmeno interagire fisicamente tra loro, facciano nascere dal nulla gruppi di appartenenza e quindi anche tutti i pregiudizi legati ad essi?
Per avere delle risposte si misero al lavoro facendo un’accurata ricerca psicologica (Tajfel et al., 1971):
Formare dei gruppi minimali
Per avere dei gruppi minimali bisogna creare delle condizioni minime. Condizioni sulla base delle quali le persone si sentano di appartenere ad un gruppo. Sono criteri irrilevanti, arbitrari e senza fondamento che come vedremo, producono effetti particolari.
Tajfel e colleghi trovarono una soluzione ordinata per testare la loro idea.
I partecipanti, che erano ragazzi di 14-15 anni, furono portati in un laboratorio. Tramite delle diapositive furono mostrati loro, un dipinto di Klee e uno di Kandinsky. Fu detto loro che a seconda del dipinto che preferivano, avrebbero fatto parte di uno dei due gruppi.
Naturalmente fu detta loro una bugia. In questa maniera le loro menti sarebbero state preparate all’idea del “noi” e “loro”. Gli sperimentatori ottennero così due gruppi di ragazzi che:
- non ebbero la più pallida idea di chi facesse parte del proprio gruppo ,
- che non diedero nessun significato all’appartenenza al gruppo,
- che non avessero nulla da perdere o guadagnare rispetto all’appartenenza ai loro rispettivi gruppi.
Dopo questa impostazione i ragazzi furono portati in una cabina, uno alla volta. A ciascuno fu chiesto di distribuire dei soldi finti ai membri di entrambi i gruppi. L’unica informazione che ebbero sulle persone a cui davano i soldi, fu un numero di codice e gruppo di appartenenza.
Regole del gioco
Le regole sulla distribuzione dei soldi virtuali furono cambiate leggermente in prove differenti. Questi cambi rendevano possibile testare una serie di teorie.
I ragazzi potevano distribuire il denaro seguendo tre diverse strategie:
- potevano erogare la massima somma comune del denaro, cioè scegliere di attribuire ad ambedue i compagni di classe (indipendentemente dal fatto che fossero categorizzati come gruppo Kandinsky o Klee) la stessa cifra (la più alta che la matrice di decisione consentiva);
- si poteva scegliere il criterio di dare il massimo profitto a favore dei membri del gruppo di appartenenza (senza preoccuparsi di quanto toccava ai membri dell’altro gruppo);
- potevano scegliere per l’alternativa che rendeva massima la differenza tra quanto era dato ai membri del gruppo di appartenenza e quello che veniva dato ai ragazzi dell’altro gruppo. In quel caso (di massimo vantaggio differenziale)
Risultati sorprendenti dai gruppi appena nati
Dal modo in cui il denaro virtuale fu distribuito, i ragazzi dimostrarono i classici indici comportamentali di appartenenza al gruppo: favorirono il proprio gruppo rispetto all’altro. Questo modello si sviluppò costantemente in molte prove; le prove furono successivamente replicate; in tutti gli altri esperimenti con i neonati gruppi si è verificato il medesimo comportamento.
Trovo che i risultati di questo esperimento siano sorprendenti. Perché? Perché i ragazzi non avevano nessuna idea di chi fosse nel loro gruppo, se non al momento di decidere a chi dare i soldi. La parte che mi lascia stupito più di tutte però, è che i ragazzi in fondo non avevano nulla da guadagnare favorendo il proprio gruppo! In fondo era una sorta di gioco!
Nel mondo di tutti i giorni, quello reale, se ci pensiamo bene, esiste una buona ragione per favorire il proprio gruppo, perché di solito è vantaggioso anche per se stessi. In pratica proteggere qualcuno del proprio gruppo è come proteggere noi stessi.
Teoria dell’identità sociale e appartenenza sociale
Tajfel sostenne quindi, che c’era qualcosa che induceva a prendere determinate decisioni nei ragazzi. Qualcosa di molto sottile ma allo stesso tempo incredibilmente profondo.
Tajfel scoprì grazie alle sue ricerche, che le persone costruiscono le proprie identità dalle loro appartenenze ai gruppi. Per esempio, basti pensare ai gruppi in cui ci sentiamo inclusi quotidianamente: al lavoro, nella propria famiglia. La natura delle nostra appartenenza al gruppo definisce la nostra identità.
Come l’appartenenza al gruppo forma la nostra identità, naturalmente noi vogliamo far parte di gruppi che abbiano uno stato elevato e un’immagine positiva. In altre parole, per fare in modo che il nostro gruppo sia superiore, c’è bisogno di avere un gruppo peggiore da guardare dall’alto in basso. Si potrebbe dire che la creazione del pregiudizio verso gli “altri” sia una diretta conseguenza per giustificare l’appartenenza al gruppo che abbiamo scelto.
Inoltre i ragazzi dell’esperimento, e noi non siamo da meno, si comportano tutto sommato da egoisti, estendono a tutti gli effetti l’egoismo individuale al gruppo di appartenenza, per renderlo migliore.
La centralità dell’appartenenza sociale ai gruppi
La teoria dell’Identità Sociale afferma che le nostre identità si formano attraverso i gruppi a cui apparteniamo. Di conseguenza siamo motivati a migliorare l’immagine e lo status del nostro gruppo nei confronti degli altri.
L’esperimento di Tajfel e colleghi, dimostra che l’appartenenza al gruppo è così importante per noi, che ci uniamo al più effimero dei gruppi con un minimo suggerimento.
In pratica non c’è bisogno di gruppi veri perché ci sia discriminazione! Il favoritismo sistematico scatta anche se non si è un vero gruppo: basta l’etichetta!
P.S. A me piace più Kandinsky e a voi? Forza iniziamo a creare questi gruppi!
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Credit image:Paolo Margari Joao Araujo